Vilém Flusser: Ins Universum der technishen Bilder (1985)

Domenico Quaranta
10 min readOct 26, 2020
Photography by Vilém Flusser. consular qualification of Vilem Flusser written by the Consulate General of Brazil in London and filed in the National Archives (Rio de Janeiro, Brazil). 1945, unknown author, Wikimedia Commons

Ho comprato questo libro (1985; traduzione italiana: Immagini. Come la tecnologia ha cambiato la nostra percezione del mondo, Fazi 2009) alcuni anni fa, mentre facevo delle ricerche sulla fotografia digitale. Ho cominciato a leggerlo guidato da una necessità, e trovandolo inutile, l’ho abbandonato dopo poche pagine. Oggi, a fine lettura, so che per Flusser inutile è un complimento, ma all'epoca mi vergognai un po’ di non essere riuscito a conciliare il suo pensiero sulla fotografia con il mio. Ma i libri, si sa, vanno letti al momento giusto, e alcuni libri in particolare vanno letti senza uno scopo, senza lo sforzo di trovarci dentro quello che stiamo cercando, senza la necessità di doverli usare.

Letto in questo modo, questo libro straordinario pubblicato per la prima volta nel 1985 è una sorgente infinita di spunti, predizioni, intuizioni fulminanti e cantonate meravigliose. Approdato alla filosofia dopo studi di matematica e fisica, Flusser non è il tipico teorico dei media. Dotato di una cultura trasversale e enciclopedica, si muove con disinvoltura tra campi del sapere differenti, e li usa tutti per costruire una teoria onnicomprensiva dall'architettura rigorosissima, anche se somiglia più a una cupola geodetica che a un grattacielo. Pensi che ti parli di fotografia e invece sta descrivendo la politica, l’economia, la società del presente e del prossimo futuro. Talvolta sembra impreciso, o si abbandona a digressioni come un vecchio troppo colto ma incapace di tenere il filo di un’argomentazione; salvo poi farti capire che la presunta digressione si incastona perfettamente in una geometria più complessa e articolata di quella che, come lettore, sei in grado di gestire, e che la presunta imprecisione è in realtà espressione di una capacità inedita di generalizzazione, e di uno sguardo che si proietta molto più lontano di quanto tu possa immaginare.

Questo emerge già nella sua definizione di “immagini tecniche”. Per Flusser le immagini tecniche (fotografie, immagini in movimento, immagini di sintesi) non sono “autentiche superfici, ma dei mosaici di elementi puntuali” (p. 8), “computazioni di concetti” che nascono grazie “a una specifica capacità di uni-formare” (p. 14). Nessuna distinzione tra analogico e digitale, continuo e discreto, immagine filmica e immagine elettronica. “Le immagini tecniche sono l’espressione del tentativo di afferrare mediante superfici piane gli elementi puntuali che sono intorno a noi e nella nostra coscienza, di riempire gli intervalli che si spalancano tra essi; espressione del tentativo, da una parte, di rendere i immagini gli elementi come i fotoni e gli elettroni e, dall'altra, i bit informazionali.” Impossibile all'uomo, questo “afferrare gli elementi puntuali” deve essere affidato a dei dispositivi “che, al posto nostro, possano afferrare l’inafferrabile, immaginare l’invisibile, concepire l’inconcepibile.” (p. 21) Le immagini tecniche “si mostrano tutte quante come superfici uni-formate e computate di elementi puntuali” (p. 45); non sono “affatto immagini, ma sintomi di processi chimici o elettronici” (p. 47).

Ma quella che sembra una indebita semplificazione (che cosa sono questi “elementi puntuali”? come si può raccogliere procedure tanto diverse sotto una singola azione come “computare” e “uni-formare”?) si rivela in realtà essere la straordinaria intuizione della natura discreta dell’immagine analogica, e del suo essere una breve parentesi nel processo che porta all'immagine digitale.

Ma le immagini tecniche non sono solo l’esito, e la causa, di un cambiamento del vedere e del rappresentare: “Ogni teoria della conoscenza, ogni etica e ogni estetica e, soprattutto, ogni sentimento di vita in quanto tale, vengono compresi in un radicale rivolgimento. Noi viviamo in un mondo uni-formato di immagini tecniche; noi viviamo, conosciamo, valutiamo e agiamo sempre più spesso in funzione di queste immagini.” (p. 53). Secondo Flusser, si sta approntando una società “nella quale gli uomini non si raggruppano più attorno ai problemi, ma intorno alle immagini tecniche” (p. 69); ne consegue che “il rapporto tra l’immagine tecnica e l’uomo, la frequentazione tra i due, è il problema centrale di ogni futura critica culturale” (p. 70) e della futura società dell’informazione. Quest’ultima rischia di trovarsi avviluppata in un feedback chiuso tra immagini e accadere, in cui le cose accadono per diventare immagini, che apre la strada alla fine della storia e all'entropia. Le avvisaglie di questo sviluppo già si vedono nella “avidità sensitiva del destinatario” (la nostra fame di immagini) e nella noia che esse producono. Parallelamente, rischia di trasformarsi in una società fascista, come conseguenza della modalità di diffusione (per irraggiamento dagli emittenti ai destinatari) delle immagini tecniche. “L’attuale rivoluzione sociale è tecnica, non politica” (p. 85): ma per incidere politicamente sulla società dell’informazione e per evitare che diventi una società fascista, dobbiamo intervenire tecnicamente sulla struttura fascista dell’irraggiamento dell’immagine. Il paradosso di questa lotta è che “non c’è un qualcosa contro cui lottare… Non immagini e interessi umani nascosti dietro di esse, ma uno schema elettrico”. (p. 96) Sono le prescrizioni del programma che devono essere ricodificate.

Qui entra in gioco la telematica, che domina la seconda parte del volume. Secondo Flusser, “è sorprendente che gli scopritori dei primi apparati, vale a dire quelli degli apparati fotografici e telegrafici, non avessero riconosciuto che entrambi erano costruiti in base allo stesso principio e che perciò potevano essere messi in relazione.” (p. 108) Dal telegrafo nacquero le forme di telecomunicazione dialogica, dalla fotografia tutte le forme di immagine tecnica. Essere regolate dialogicamente è dunque nell'essenza delle immagini tecniche.

Una telematica effettivamente funzionante libera l’uomo dall'assoggettamento allo schema elettrico del dispositivo, e può ribaltare il rapporto tra intelligenze umane e artificiali: “apparati sempre più competenti portano a uomini sempre più competenti” (p. 158) “Nella società telematica saremo sostituiti passo passo, in quanto produttori e critici delle informazioni, dalle macchine automatiche, ma manterremo il diritto di dire ‘no’… Proprio per questo la telematica è una tecnica della libertà: perché ci emancipa, passo passo, da tutti i presupposti, anche dalla necessità di dover decidere, e così ci apre sempre più lo sguardo sulla libertà fondamentale, che può negare la stessa telematica.” (p. 170) Ma per liberarci dall'assoggettamento al dispositivo, per superare l’attuale “imperialismo dell’informazione”, la telematica deve permetterci di programmare dialogicamente gli apparati che producono immagini. “L’uomo futuro si differenzierà dall'attuale funzionario, in quanto egli non deciderà già programmato, bensì deciderà programmando.” (p. 216)

È qui che capiamo che le previsioni di Flusser non si sono ancora pienamente avverate. Se questo libro scritto nel 1985 apre dei varchi straordinari sul nostro attuale presente, la società telematica da lui descritta non è ancora pienamente compiuta: resta, come la definisce nelle ultime righe, una favola. E tuttavia, le sue previsioni, i suoi stralci di futuro, meritano un’attenzione particolare perché non sono, come quelle della maggior parte dei futurologi, frutto di una visione progressista o evolutiva della tecnologia, della legge di Moore o della “legge dei ritorni acceleranti” di Ray Kurzweil. Quello che Flusser prevede (la fine del lavoro, l’automazione, la convergenza dei media, la comunicazione per immagini, la deriva totalitaria della società dell’informazione, tra le altre cose) è quello che lui vede nella sua società, da un osservatorio storicamente posizionabile prima del Web, prima di Google, prima di Mechanical Turk e della compiuta digitalizzazione della fotografia. Lo nota lui stesso, in una delle ultime pagine del libro: “la società telematica, così come io l’ho qui prevista, non è ciò che avverrà, bensì ciò che ci fa preoccupare, in quanto sta emergendo da noi stessi. Non si tratta della musica del futuro, ma della critica del presente.” (p. 223) È questa lucida capacità di visione, più che di pre-visione, a rendere questo libro attuale.

Faccio seguire un campionamento di citazioni che ho trovato, per motivi diversi, fulminanti, con un’avvertenza: a volte, estrapolate dal contesto, assumono un significato molto diverso da quello originale. Il che spiega, in gran parte, la loro bellezza e vitalità.

“La differenza tra gli apparati e l’universo è che gli apparati stanno sotto il controllo umano. Ma ciò non durerà per sempre: alla lunga l’automaticità dell’apparato deve ‘emanciparsi’ dall'uomo.” (p. 26)

“L’apparato fa quello che vuole il fotografo, ma il fotografo può volere soltanto ciò che l’apparato può… non soltanto il gesto, ma anche l’intenzione del fotografo sono funzioni dell’apparato.” (p. 27)

“Le immagini tecniche… sono i risultati di una complicata battaglia tra l’inventore e il controllore dell’apparato, i risultati di un lavoro comune tra i due, i risultati di una battaglia e di un lavoro comune tra gli apparati e gli uomini. Le immagini tecniche sono immagini drammatiche.” (p. 28)

“Mentre i miei polpastrelli toccano, scegliendoli, i tasti della mia macchina da scrivere per comporre questo testo, io compio un miracolo. Spezzetto i miei pensieri in parole, le parole in lettere, e scelgo infine i tasti corrispondenti a queste lettere. Io ‘calcolo’ i miei pensieri. E sul foglio di carta… appaiono queste lettere, ognuna per sé, chiara e distinta, per formare nonostante tutto un testo lineare. La macchina da scrivere ‘computa’ ciò che io ho calcolato. E riesce a condensare gli elementi in forma di righe.” (p. 33)

“La presente rivoluzione culturale può essere vista come un trasferimento dell’esistenza sui polpastrelli delle dita.” (p. 39)

“Le immagini tecniche non rappresentano qualcosa…, bensì proiettano qualcosa. Il significato (‘signifié’) delle immagini tecniche è qualcosa progettato dall'interno verso l’esterno (è indifferente se sia una casa fotografata o l’immagine al computer di un aereo da costruire) ed è là fuori solo dopo che è stato progettato. Perciò le immagini tecniche sono da decifrare non a partire dal significato, ma piuttosto dal significante (‘signifiant’). Non da ciò che esse mostrano, ma dal modo in cui lo mostrano… Decifrare un’immagine tecnica non significa decifrare ciò che è mostrato in essa, quanto invece intuire il suo programma.” (p. 65)

“Le immagini tecniche sono da criticare a partire dal loro programma. La critica delle immagini tecniche richiede l’analisi delle loro traiettorie e l’analisi delle intenzioni che ci sono dietro.” (p. 67)

“Le immagini tecniche isolano certamente quelli che le ricevono nel loro angolo, ma anche, e ancor più, quelli che fuggono davanti a loro.” (p. 72)

“L’accadere attuale non si muove più verso una qualche forma di futuro, ma verso le immagini tecniche… si presenta una nuova forma di rapporto, un feedback tra l’immagine e l’accadere. L’accadere alimenta le immagini e le immagini alimentano l’accadere… Ciò avverrà per ogni accadere in maniera sempre più evidente […] questo rivolgimento dell’accadere dal futuro verso l’immagine significa un’accelerazione dell’accadere. Gli eventi finiscono nel vortice delle immagini e scorrono in maniera sempre più sfrenata.” (pp. 76–77)

“Ogni tentativo di voler salvare la famiglia dall'irruzione della televisione o del personal computer è un’impresa persa, ‘reazionaria’.” (p. 85)

“Le persone vogliono essere disperse dalle immagini.” (p. 89)

“in un prevedibile futuro, in generale tutti, perderanno il lavoro, diventeranno disoccupati.” (p. 97)

“Gli emittenti non ci dominano in quanto noi li serviamo, ma in quanto essi ci servono.” (p. 97)

“in un prevedibile futuro ogni bambino giocherà (dialogherà) con un altro bambino mediante immagini sintetiche.” (p. 109) (che bella descrizione dei meme)

“la telematica, già nelle sue forme attuali, rende tecnicamente superflui quegli oggetti come i giornali, i libri, le lettere, gli affari, gli uffici pubblici, le fabbriche, i teatri, le sale cinematografiche, le sale da concerto, le esposizioni, ma anche quegli oggetti come la posta, la radio, il televisore o il denaro. In altre parole… permette di stravolgere tutte le attuali strutture discorsive, ma anche quelle dialogiche.” (p. 111)

“Noi siamo per la prima volta davvero un ‘io’ quando siamo con gli altri e per gli altri. ‘Io’ è dire ‘tu’ a qualcuno.” (p. 128)

“ogni autorità scomparirà, perché rispetto alla riproducibilità è ridondante.” (p. 135)

“per noi gli autori non solo non sono più necessari, ma non sono più possibili” (p. 138)

“Solo quando l’opera, questa informazione seppellita nell’oggetto, verrà superata (quando, quindi, l’oggettività dell’informazione, soggetta al secondo principio della termodinamica, verrà superata), allora si potrà creare ‘qualcosa di immortale’.” (p. 144)

“Noi produciamo informazioni per non venir dimenticati, per non morire… La vera intenzione nascosta nella telematica è di renderci immortali. Nella telematica si diventa infatti consapevoli del fatto che la libertà non consiste soltanto nel produrre informazioni, ma nel difenderle davanti alla naturale entropia.” (pp. 148–149)

“Il dimenticare dovrà essere visto come una strategia informativa paritaria all'imparare e non meno necessaria.” (p. 152)

“Le immagini tecniche vanno viste come una sorta di secrezione di un sistema nervoso cosmico, come una sorta di sogni di un super cervello. E le secrezioni, i sogni possono essere intesi come un controllo cibernetico delle funzioni cerebrali. In breve, la rappresentazione che qui si impone è quella di un sognante cervello cosmico, che viene governato ciberneticamente dalle immagini tecniche.” (p. 174)

“Non c’è più la storia, c’è soltanto un passato a disposizione della memoria, che è divenuto quindi presente […] non c’è più alcun futuro, laddove tutto è diventato presente. Ciò che un tempo era futuro, adesso è un’attuale possibilità di gioco.” (p. 175–176)

“Un orgasmo cerebrale ininterrotto: questa è la forma mediante la quale le immagini tecniche guideranno la società telematica.” (p. 179)

“I corpi diventano sempre meno interessanti e le informazioni, senza corpo, senza sostanza, senza supporto materiale, diventano sempre più interessanti.” (p. 185)

“Il culto della forma fisica, per la quale noi apparentemente alleniamo i nostri corpi… rappresenta effettivamente un disprezzo del corpo: la sua degradazione a giocattolo.” (p. 193)

“quando diciamo della società telematica che sarà cosmica, intendiamo che sarà dappertutto cinese.” (p. 195)

“Finché avremo il corpo, la sofferenza (e, con essa, l’economia) formerà la base della società… I dolori sono tacitabili, la sofferenza anestetizzabile. E tuttavia, non appena il corpo viene anestetizzato, anche la coscienza diventa silenziosa e insensibile: an-estetica. La coscienza, per essere coscienza, deve essere una coscienza infelice.” (pp. 202–203)

“ogni produrre e ogni commerciare verranno ampiamente robotizzati e non saranno più interessanti. Gli oggetti che saranno prodotti e consumati non penetreranno nella coscienza, occupata con le immagini. Non si lavorerà, né si creeranno opere… tutti filosoferanno. E tuttavia, in maniera casualmente necessaria, a volte le cose non funzioneranno. Accadranno degli incidenti necessari. Si soffrirà (e si morirà)… Poiché tali incidenti sono necessari (prevedibili, non sorprendenti, ridondanti) si cercherà di minimizzarli. Verosimilmente si elaboreranno dei metodi sempre più perfetti in tal senso: si soffrirà sempre più raramente e si morirà sempre più tardi. Lo stesso divenir più raro sarà a sua volta calcolato. Quando la riparazione diventa troppo cara, quando inizia a disturbare la vita nella scuola, quando inizia a rovinare la felicità del gioco, si dimenticherà il disturbo. Così, prevedo, sarà ogni morire in futuro: una decisione, presa dialogicamente, di dimenticare.” (p. 207)

“noi degeneriamo nell'ozio, quando diventiamo incapaci di festeggiare. La nostra incapacità di festeggiare è, nell'attuale utilizzo della parola, riconoscibile nel termine ‘inutile’… Per entrambe le nostre tradizioni preborghesi, ‘inutile’ è un’espressione per la capacità umana di elevarsi al di là di ogni vincolo di destinazione. Si tratta di un’espressione solenne. Fino a che non ci ricorderemo nuovamente di questo significato della parola, non saremo in grado di riconoscere nella disoccupazione una benedizione.” (p. 213)

“La telematica è una scuola, nella quale impariamo a festeggiare.” (p. 215)

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Domenico Quaranta

Domenico Quaranta is a contemporary art critic, curator and educator based in Italy. He’s the author of Beyond New Media Art (2013). http://domenicoquaranta.com