Surfing con Satoshi. Arte, blockchain e NFT. Introduzione

Domenico Quaranta
8 min readMay 24, 2021

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L’introduzione a Surfing con Satoshi. Arte, blockchain e NFT (Postmedia Books, 2021), appena pubblicato in italiano da Postmedia Books, già disponibile su Amazon e a stretto giro in arrivo anche nelle librerie!

I heard of nfts recently

And i did not like it

Because it was a money thing

But then it kind of got interesting

And I do not know why

It just got interesting

And now i hope this is

The first poem

To be sold as an nft

It would be cool

Nikola Tosic 2021(1)

Il 19 febbraio 2021 Chris Torres, il creatore originale dell’animazione universalmente nota come Nyan Cat, la vende per circa 561.000 dollari su Foundation, una piattaforma online nata pochi mesi prima. In realtà, a essere venduto è l’NFT (non fungible token) associato all’opera, una stringa di codice digitale che fa riferimento all’immagine e la identifica permanentemente sulla blockchain di Ethereum.

Tre giorni prima, sulla stessa blockchain viene registrato (minted) l’NFT di Everydays. The First 5000 Days, un collage digitale di 5000 illustrazioni del graphic designer e animatore americano Mike Winkelmann, meglio noto come Beeple. Orchestrata dalla vecchia signora delle case d’asta — Christie’s — su una base d’asta di 100 dollari, la vendita di Everydays si conclude l’11 marzo 2021, totalizzando più di 69 milioni di dollari e facendo impallidire in pochi giorni la scia arcobaleno del Nyan Cat — oltre a posizionare Everydays al terzo posto tra le opere d’arte più costose mai vendute di un artista vivente, dopo Rabbit (1986) di Jeff Koons e Portrait of an Artist (1972) di David Hockney.

Storie come queste hanno scaraventato, all’inizio del 2021, il mondo dell’arte contemporanea (e non solo) nel cuore di quello che il giornalismo anglosassone ha chiamato “NFT craze” — la moda degli NFT. Chi ha cercato di seguirla attraverso la tormenta di notizie e articoli prodotti da queste e altre vicende ha dovuto verosimilmente districarsi tra complicati tecnicismi, dichiarazioni entusiaste, accuse infamanti, intrecci intricati di denaro e interessi, criteri di giudizio e sistemi di attribuzione del valore poco comprensibili e decisamente non conformi a quelli a cui la storia e il mondo dell’arte ci hanno abituati. Le domande sollevate da queste storie sono numerose, e le risposte che possiamo dargli non sono sempre lineari e scontate come quelle che il potere affermativo del denaro vorrebbe indurci a pensare. È possibile, e in quali termini, considerare autentico e originale un file digitale? È possibile, e in quali termini, rivendicare l’autorialità di un meme, ossia di un contenuto che deve la sua popolarità e riconoscibilità a una serie infinita di variazioni e a un’ampia comunità di partecipanti, e tradurre questo valore culturale in valore economico? Sono davvero — Beeple e gli altri artisti che come lui stanno ottenendo crescenti riscontri economici dalla vendita degli NFT — fra i più grandi artisti del loro tempo, e fra i migliori rappresentanti di quella che torna a essere chiamata “digital art”? Di quali premesse — storiche, economiche, tecniche, culturali — è frutto il boom di un mercato che fino al dicembre 2020 esisteva come fenomeno di nicchia e passatempo per nerd, e nel marzo 2021 ha raggiunto il valore di 390 milioni di dollari?

Come molte delle cose che ho scritto, questo testo nasce dalla fiducia nella scrittura come mezzo per articolare e sviscerare questioni complesse, e dallo sforzo di offrire a me stesso e ai lettori gli strumenti concettuali utili per elaborare una propria risposta a domande destinate altrimenti a restare in sospeso. Esploro ormai da diversi anni il territorio scivoloso della “digital art”, anche se ho sempre rifiutato questo e altri termini utili solo ad alzare barriere insormontabili tra le pratiche artistiche, e nel contempo a generare associazioni inutili e dannose tra sfere della creazione che possono coesistere solo all’interno di una caratterizzazione così fumosa e generica come quella offerta dal mezzo (un mezzo, nel caso specifico, tanto più indefinibile in quanto concepito e progettato come “metamedium”, che fagocita e trasforma ogni altri mezzo e linguaggio). Nel corso di questi anni, ho avuto modo di affrontare più volte le domande sollevate qui sopra, e anche di articolare alcune risposte. Per me, il boom degli NFT non è arrivato senza preavviso; eppure, di esso mi hanno colpito e scioccato l’accelerazione, l’energia, la capacità improvvisa di riscrivere o cancellare la storia, di portare sulla scena figure e realtà nuove e trasformarne altre che hanno avuto un ruolo pionieristico in comprimari che arrancano per restare al passo. Quello che vedo accadere mi annoia e mi sorprende, mi inquieta e mi entusiasma, spesso per le stesse ragioni. Quello che leggo raramente riesce a darmi una motivazione per questi sentimenti contrastanti, e a farmi capire quale posizione dovrei assumere fra i poli opposti di queste reazioni emotive. Come il duo giapponese exonemo, anch’io “randomly love/hate NFTs”. Come il poeta NEEN Nikola Tosic, anch’io ho provato per il fenomeno un’istintiva repulsione dettata dal fatto che “it’s a money thing”, ma sono altrettanto istintivamente attratto da una serie di aspetti che mi ricordano il modo in cui la rete ha cambiato i destini dell’arte nel corso della mia vita: sviluppando dinamiche orizzontali e comunitarie, accantonando il sistema dell’arte e la sua rigida articolazione di ruoli e gatekeeper, favorendo la costruzione identitaria, abbattendo confini e favorendo ibridazioni. Da qui l’esigenza di questo testo, che lungi dal proporre e argomentare una posizione presa, intende preparare le basi per svilupparne una.

Scrivere questo libro comporta dei rischi, di cui sono ben consapevole. Quando poche righe più sopra ho usato il termine “tormenta” non stavo facendo un’esagerazione retorica. Mi è capitato altre volte di intervenire su temi caldi, nel pieno di un dibattito in corso. Ma scrivere un libro — quindi, qualcosa che si presuppone duraturo — su un tema che ogni giorno produce decine di notizie, commenti, approfondimenti su questioni specifiche, discussioni sui social, podcast, servizi televisivi — può sembrare velleitario e presuntuoso. Nella migliore delle ipotesi, il risultato sarà bibliograficamente obsoleto nel giro di pochi mesi. Nella peggiore, mancherà di riferire sviluppi e questioni divenute cruciali nel breve lasso di tempo trascorso tra il “visto si stampi” e il momento in cui diventerà disponibile per l’acquisto. Stiamo surfando con Satoshi sul ciglio di un maelström, sui cui sviluppi molti si azzardano a fare previsioni, ma di cui è molto difficile indovinare il destino in questo momento. Ha senso scrivere un libro in mezzo a tanto fermento? Non sarebbe più sensato intervenire nel flusso, come fanno molti, con articoli, commenti, brevi esternazioni disseminate nel tempo, cercando di condizionarlo con le proprie prese di posizione o semplicemente di raccontarlo come un cronista attento e curioso?

Senza aver nulla contro queste modalità di intervento più militante o cronachistico — che peraltro nutrono questa riflessione di spunti continui — considero tuttavia la forma libro più funzionale ad altri scopi, che sono poi quelli che motivano questo lavoro: contenere la complessità del fenomeno in un unico ragionamento, e radicare quest’ultimo su fondamenta storiche e metodologiche meno precarie. Inoltre, sono sempre stato interessato all’influenza che hanno gli hype tecnologici sugli sviluppi della cultura contemporanea (2), e in particolare sulla peculiare temporalità della media art: e la possibilità di studiarne uno nel bel mezzo del picco era troppo seducente per lasciarsela sfuggire.

Coerentemente con queste premesse, questa investigazione si articola lungo due direttrici principali: la prima analizza il rapporto tra criptovalute, blockchain e pratiche artistiche; la seconda approfondisce le questioni dell’autenticità e della scarsità nell’arte contemporanea in generale, e nella media art in particolare. Il primo capitolo (Utopia e distopia della blockchain) si concentra sul funzionamento e sulla storia delle criptovalute e dell’infrastruttura tecnica su cui fanno affidamento, la blockchain: approfondendo le visioni che ne hanno nutrito lo sviluppo ma anche il progressivo allontanamento da quelle ragioni ideali. Ritengo questo passaggio cruciale, non solo perché la difficoltà a comprendere la blockchain è, come vedremo, la causa principale del riemergere di quegli intermediari che la stessa si proponeva di debellare, e del loro strapotere; ma anche perché molte delle contraddizioni della blockchain si riflettono nel fenomeno degli NFT, e perché quel dinamico equilibrio tra spinte radicali e realismo capitalista, tra pulsioni di cambiamento e adeguamento allo status quo genera uno spazio interessante di intervento per l’arte.

Il secondo capitolo (Arte e blockchain) si concentra appunto su questo binomio, approfondendolo in senso diacronico ma anche invertendo il quesito di fondo rispetto al modo in cui si è manifestato durante il boom degli NFT. Qui la domanda a cui rispondere non è che cosa la blockchain può fare per l’arte (in termini di certificazione della scarsità e dell’autenticità dei beni digitali), ma che cosa l’arte (in quanto territorio di ricerca, di critica, di speculazione nel senso non economico del termine, di sviluppo di narrative e di estetiche) può fare per la blockchain.

Il terzo capitolo (La riproducibilità, il valore e il mercato della media art) cerca di sostanziare storicamente e teoricamente la riflessione attuale sulle questioni dell’autenticità e della scarsità, in riferimento al digitale ma più in generale a tutto ciò che è effimero, immateriale, soggetto a obsolescenza o a deperimento; non per opporre l’arroganza dei vecchi all’ingenuità tecnodeterminista di chi crede che la registrazione di un’autentica su un database distribuito protetto dalla crittografia risolva magicamente il problema della riproducibilità di un’opera digitale, o al soluzionismo interessato di chi vuole farglielo credere; ma per indagare le radici storiche dei miti dell’autografia e della scarsità, e per mostrare come il consenso distribuito (uno dei fondamenti del funzionamento della blockchain) ne sia sempre stato il garante.

Se i primi tre capitoli preparano il terreno, gli ultimi due entrano nel vivo della questione. Il quarto (Crypto Art?) analizza il fenomeno degli NFT dal punto di vista dell’arte (i linguaggi, i contenuti, le estetiche) piuttosto che delle vendite, e si interroga sull’opportunità di una categoria comoda a fini discorsivi, apparentemente utile a fini promozionali, ma problematica quando si tratti di definire nelle sue molteplici articolazioni i rapporti tra arte e blockchain. Il capitolo conclusivo (La moda degli NFT tra utopia e speculazione), infine, cerca di ripercorrere questi ultimi mesi convulsi, e affianca a una breve e inevitabilmente temporanea panoramica degli attori in gioco un altrettanto provvisorio bilancio.

Surfing con Satoshi prende il suo titolo a prestito dall’omonimo “turbofilm” girato da Alterazioni Video nel 2013. In questa sorta di bizzarro mockumentary, le tracce di Satoshi Nakamoto, il mitico inventore della blockchain, si perdono in una grotta di Puerto Rico, dove pare che stesse progettando “la prossima rivoluzione” in compagnia di hacker e artisti. Stiamo vivendo l’avverarsi di quella cospirazione? Che ruolo ha l’arte nel destino della blockchain? Nelle pagine che seguono, cercheremo di trovare una risposta a queste domande.

Note

1 “Di recente ho sentito parlare di nft / e non mi è piaciuto / perché è una cosa di soldi / ma poi è diventato interessante / e non so perché / solo, è diventato interessante / e ora spero che questo sia / il primo poema / venduto come nft / sarebbe grandioso”.

2 Su questo argomento, cf. Domenico Quaranta, “Between Hype Cycles and the Present Shock. Art at the End of the Future”, in Nero Magazine, 2020, https://www.neroeditions.com/docs/between-hype-cycles-and-the-present-shock/.

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Domenico Quaranta

Domenico Quaranta is a contemporary art critic, curator and educator based in Italy. He’s the author of Beyond New Media Art (2013). http://domenicoquaranta.com