Simon Sellars: Ballardismo applicato
Nel corso del 2020 ho letto due libri di James Ballard. Il condominio (1975) l’avevo comprato qualche anno fa, attratto dal riassunto in quarta di copertina, ma era rimasto a prendere polvere in libreria fino a che mi è venuta voglia di leggere un libro di carta. Hello America (1981) l’avevo sul Kindle, che tempo fa ho infarcito un po’ a casaccio con una collezione di ebook di fantascienza scaricati da internet. (Li raccomando entrambi: mostrando come la degenerazione esponenziale dei comportamenti di un gruppo umano costretto all’interno di una architettura sociale non sia altro che la conseguenza dei bias di progettazione dell’architettura medesima, Il condominio proietta ombre inquietanti sui social media contemporanei; mentre Hello America, seguendo un gruppo che parte alla riconquista di un’America abbandonata dopo un collasso climatico che l’ha resa invivibile, rivela quanto il make America great again — ripetuto più volte da uno dei protagonisti del romanzo — sia radicato nel genoma statunitense). Ho letto anche una bella intervista, pubblicata solo di recente (James Ballard, All That Mattered Was Sensation, Krisis Publishing, Brescia, novembre 2019), di cui mi aveva parlato con entusiasmo uno degli editori.
Ballard è un autore che amo, ma non è usuale che un singolo autore monopolizzi così tanto le mie letture. Diversamente da Simon Sellars, non sono un ballardiano. Non ricordo quando lessi La mostra delle atrocità (1970), probabilmente ai tempi dell’università. Mi colpì molto, ma nonostante la frequentazione di Antonio Caronia, che l’ha tradotto in italiano, non l’ho più ripreso in mano (mentre, anche grazie ad Antonio, sono un frequentatore costante dell’universo dickiano). Lessi Super-Cannes (2000) nell’anno della sua pubblicazione, e L’isola di cemento (1974) qualche anno dopo. Non ho mai visto né Crash né L’impero del sole, nonostante abbia visto quasi tutto di Cronenberg e di Spielberg; né credo di aver letto altri romanzi di Ballard. Nella mia libreria giace da anni una raccolta di articoli (Fine Millennio: istruzioni per l’uso, 1996) che nonostante il titolo avvincente non ho mai letto sistematicamente, limitandomi a setacciare qualche articolo qua e là.
Anche Ballardismo applicato (NERO, Roma 2019; traduce Applied Ballardianism, Urbanomic 2018) è rimasto inerte dal settembre 2019, quando l’abbonamento a NOT l’ha fatto approdare sulla mia scrivania; anche se la sua presenza, insieme alle esternazioni folgoranti di All That Mattered Was Sensation, ha probabilmente avuto un ruolo nello spingermi a prendere in mano Il condominio e Hello America, come se volessi rinsaldare le mie basi prima di affrontare la lettura di quello che credevo un saggio su Ballard.
Si fa presto a parlare di theory fiction, ma credo che nessuno si aspetti che la fiction sia uno dei punti forti di un libro con un titolo come questo. Inoltre, più sei informato, più rischi di partire disilluso riguardo alla natura narrativa di Ballardismo applicato. Simon Sellars è un autore australiano che ha dedicato a Ballard vari saggi e la sua tesi di dottorato, ha curato un’antologia di interviste (J. C. Ballard, Extreme Metaphors. Collected Interviews, 2012) e da anni gestisce il sito Ballardian.com, che indaga il lavoro di Ballard così come la “ballardosphere”, ossia tutto ciò che suona “ballardiano” nella fase attuale del tardo capitalismo. Come il narratore in prima persona del suo libro, è anche co-autore di alcune guide di viaggio, tra cui la Lonely Planet dell’Olanda e una guida alle micronazioni (Micronations, Lonely Planet 2006). Con queste premesse, non è facile approcciare Ballardismo applicato come qualcosa di diverso da una autobiografia romanzata con sprazzi di critica letteraria, dove “romanzata” suona facilmente come la descrizione sarcastica del tentativo puerile, da parte di un saggista, di rendere pop la sua materia ricamando sulle analogie tra la sua esistenza e l’ossessione letteraria di una vita.
Sellars sembra salvarsi da questo rischio usando la prima persona nello stesso modo in cui Ballard attribuisce il nome di James Ballard al narratore di Crash: rendendo ovvia e scontata l’identificazione con l’autore per poi sorprenderci con un personaggio fallimentare e violento, incapace di costruire relazioni, di condurre a termine la sua ricerca accademica, prigioniero della sua psicopatologia e di una esistenza in cui i livelli della realtà, della letteratura e dello spazio interiore si intrecciano in maniera inestricabile, fino all’inverosimile finale, in cui la realtà costruita sin dalla prime pagine del libro collassa su se stessa, spingendoci a chiederci che cosa abbiamo letto. Il narratore di Ballardismo applicato è e non è Simon Sellars allo stesso modo in cui quello di Crash è e non è James Ballard: la vita è la sua, non romanzata ma vista da una prospettiva distorta. Come ha spiegato in una intervista (che merita di essere letta per intero):
“As for the science fictional elements, the book is what it claims to be in the subtitle: a memoir from a parallel universe. My life as a failed scholar seen from a reverse angle. The ending, which I trust we won’t reveal here, is overtly science fictional, but even so the book is supposed to illustrate Ballard’s maxim that ‘the only truly alien planet is Earth’. That is, the conditions we are living through today — haemorrhaging realities, fake news, hypercapitalism, fractured online identities — are so complex, so mercurial and so self-erasing that not even science fiction can truly capture them. All the writer can do is bear witness and record what is happening with total psychological honesty.”
O, per dirla con Ballard: “The most prudent and effective method of dealing with the world around us is to assume that it is a complete fiction. Conversely, the one small node of reality left to us is inside our own heads.”
In termini narrativi, la forza di Ballardismo applicato sta proprio nell’adozione di questa prospettiva distorta, che manifesta la natura “fictional” del mondo in cui viviamo: il modo in cui si intersecano nel nostro spazio interiore esperienze reali e viaggi virtuali, il modo in cui le immagini che produciamo e quelle che vediamo alterano la nostra memoria e penetrano nella nostra immaginazione, il modo in cui il flusso continuo di informazioni altera la nostra percezione del reale; e poi le esperienze déjà vu dei non luoghi dell’iperconsumo, il senso del tempo falsato dai jet lag e dalla frequentazione ininterrotta di macchine che non dormono, l’esposizione continua alle narrazioni…
Su un altro versante, in Ballardismo applicato il critico letterario Simon Sellars ci espone alle seduzioni e ai rischi che comporta la trasformazione di un’opera artistica in una chiave interpretativa della realtà. Secondo la legge dello strumento, se quello che hai in mano è un martello, tutto comincia ad assomigliare a un chiodo. Per vent’anni, Sellars — e un numero crescente di persone con lui, come testimonia l’ufficializzazione dell’aggettivo “ballardian” — ha brandito Ballard come un martello, uno strumento per capire e raccontare la realtà che andava prendendo forma sotto ai nostri occhi e che lo scrittore inglese sembra avere tanto acutamente anticipato. Dire che Ballard ha descritto, con allucinante chiarezza e straordinaria chiaroveggenza, nei suoi romanzi e racconti dinamiche sociali e aspetti del mondo contemporaneo che sarebbero diventati attualità nel corso degli ultimi vent’anni è affermare l’ovvio, così come naturale riconoscersi in tante affermazioni e analisi contenute in interviste, saggi e lavori letterari, di cui Ballardismo applicato trabocca. Qui, alcune delle mie preferite campionate da All That Mattered Was Sensation, una fonte registrata su videocassetta in Italia nel 1992 e probabilmente ignota allo stesso Sellars:
“modern technology is changing the moral basis of our lives. Because technology, particularly in the form of television, allows us to separate ourselves from the world of feeling.”
“the external environment in which we all live, what we used to call reality, is now a fantasy created by the mass media, by film, television, advertising, publicity, politics.”
“science fiction… created the psychology of the late 20th century.”
“We no longer have an idea of the future… The reason is that the present, a sense of the present has enlarged… People… are living in this perpetual present day. They are living in a perpetual now.”
“… the future will be very suburban and boring, but very volatile. There will be sudden explosions of political events, or cultural events, epidemics, or perhaps serial killers or whatever will break through the surface of all this suburbia. We’ll have a strange combination of boredom and sudden excitement.”
Ma se è difficile esagerare la capacità di Ballard di analizzare il presente e vedere (più che prevedere) il futuro, più che l’ennesimo tentativo di invitarci a prenderne atto Ballardismo applicato sembra semmai un invito a esorcizzare, tanto nell’autore quanto nei lettori, la tentazione di uno sguardo ballardiano sul mondo. La vicenda del protagonista mostra quello che accade quando si riduce un’opera tanto complessa e articolata a uno strumento interpretativo del reale e a una regola operativa, a una “istruzione per l’uso”. Come spiega Sellars nell’intervista citata:
“As for ‘Ballardianism’, no one should look to that as a conceptual tool for making sense of the world, unless they’re tired of living. In my book, ‘Applied Ballardianism’ — that is, the theoretical framework devised by the narrator — is a severe misreading of Ballard’s work. All it does is give the narrator licence to indulge his most violent impulses, including a deep suicidal strain. Through immersion in Ballard’s work, through over analysing its dystopian elements, he comes to believe that Ballard has taught him to accelerate a suburban apocalypse so that everything can be destroyed and he can begin again amid the ruins.
Applied Ballardianism almost kills him. That’s the point.”
Se c’è una ragione per cui Ballardismo applicato merita di essere letto, tuttavia, essa non risiede né nell’esegesi ballardiana che offre né nella narrazione, ma nella sua natura di libro di viaggi, nello spazio e nel tempo. Ballardismo applicato è un libro di spazi, descritti attraverso lo sguardo analitico, per quanto soggettivo e deformante, del protagonista: la Melbourne in cui è nato e cresciuto, città di cui il mondo di Mad Max è un documentario, più che una proiezione distopica; i luoghi che ospitano le rovine della seconda guerra mondiale, dall’Olanda alle isole del Pacifico; il Giappone dove vive per qualche tempo e Dubai dove si ferma per uno scalo tecnico; la micronazione di Sealand, i vicoli di Tangeri, e poi gli hotel, gli aeroporti, i casino, i centri commerciali, le zone suburbane e le edgelands, territori “di compenetrazione tra urbanità e ruralità, la misteriosa interzona che circonda tutte le città.” Luoghi che il lettore visita attraverso i suoi occhi, e che — incontrati nel corso di un anno che ha visto la pandemia mettere in ginocchio il traffico aereo e in un momento storico di radicale messa in discussione della tendenza al turismo globale affermatasi a partire dagli anni Novanta — sono probabilmente destinati a restare, per me e per molti altri, luoghi letterari, meta al massimo di qualche gita notturna tra le sfere di Google Street View. Mi appunto qui qualche altro nome, a beneficio di futuri viaggi o ricerche: Tohoku, Giappone; Progetto Delta, Olanda; Scheveningen, L’Aia; Madurodam, parco a tema sul paesaggio olandese, sempre all’Aia; Overblaak, l’Aia; Asan Beach, Guam; Saipan; Rota; Chulu Beach, Tinian; Crown Casino, Melbourne; Koror, Palau; Shepperton, UK; Palm Jumeirah e Palm Jebel Ali, Dubai; Al Reem Island, Abu Dhabi; area di osservazione aerea di Sunbury Road, Melbourne; Mullum Mullum, Melbourne; Newlands Road, Melbourne.